venerdì 15 aprile 2016

Che cos’è la pubblicità e come funziona, l'arte di convincere i consumatori.

Non so se ogni pubblicitario debba avere una sua definizione della pubblicità. Il fatto è che fui obbligato a improvvisare la mia in diretta, durante un’intervista in televisione. I miei neuroni lavorarono a gran velocità e dissi subito:


«La pubblicità è... l’arte di convincere i consumatori».

Come avrete indovinato, da quel giorno cominciai a usare questa frase e, con gli anni, l’ho sedimentata fino al punto di farne definitivamente “la mia definizione”.
Ho una particolare ostinazione sulla parola arte, perché in tutte le discipline di marketing c’è una formula magica basata su una certa proporzione fra scienza e arte.
Può darsi che fra tutte la pubblicità sia quella in cui la bilancia pende di più dalla parte dell’arte. Ma la scienza è lì e fa da contrappeso, come un alter ego indispensabile, per impedire che le fantasie artistiche portino il pubblicitario fra le nuvole e lo allontanino dalla realtà del mercato. Permettetemi di fare una confessione. Non sono geniale, e direi che ho la fortuna di non esserlo, perché quella che è stata, è e sarà la mia grande passione e professione, la pubblicità, non ha bisogno di geni.

lunedì 4 aprile 2016

Il più grande pubblicitario americano, dimenticato, non era un 'Mad Man'

Come pubblicitario è sempre stato riservato, non spaccone. Vomitava prima di presentare i suoi lavori ai clienti—non per il liquore, come quel dilettante di Don Draper, ma per la paura. La paura che il nuovo cliente non avrebbe avuto le palle di comprare le sue coraggiose pubblicità. Ma per lui, la pubblicità è sempre stata una sola cosa: un lavoro. Non è mai contato nient'altro.
Su Internet non si trovano molte informazioni su Tom McElligott. 
Non ha rilasciato molte interviste. Non ha una pagina su Wikipedia. E l'agenzia che ha fondato a Minneapolis, la Fallon McElligott Rice, ha avuto il periodo di maggiore notorietà negli anni pre-Internet, tra il 1981 e il 1988: proprio nel bel mezzo del fenomeno delle mega-fusioni in cui grandi agenzie di Madison Avenue ne inghiottivano altre—un fenomeno che ha distrutto per sempre gran parte della creatività e dello spirito dell'industria della pubblicità.

Tutti gli elementi di una pagina pubblicitaria di Riccardo Esposito.

Il mondo del web marketing è legato (e attratto) al mondo della pubblicità. D’altro canto, cos’è unalanding page se non un’evoluzione degli antichi manifesti ottocenteschi, figli diretti dell’antica reclamee della tradizione cartellonistica?


Non penserai mica che le headline ammiccanti e l’uso dei verbi imperativi nei call to action siano degli artifici nati in funzione del web, vero? Per questo credo che non ti farà male dare uno sguardo aglielementi che compongono il layout di una pagina pubblicitaria. Elementi testuali della pagina pubblicitaria
  • Headline -Sicuramente sai di cosa sto parlando. L’Headline è il titolo, la frase sintetica che apre la pagina pubblicitaria, quella stringa di testo che racchiude gran parte del significato. Generalmente si usa un font di grandi dimensioni, o comunque superiore a quello utilizzato nelle altre frasi della pagina. Ovviamente, se lavori su un progetto pubblicitario cartaceo, tutti i criteri di keyword che devi osservare se scrivi per il web cadono amabilmente;
  • Occhiello – Questo elemento viene concettualmente inserito prima dell’headline (ma spazialmente può essere collocato anche di lato o sotto) e può essere d’aiuto per eventuali headline troppo criptiche o che giocano su doppi sensi;
  • Sub-Headline – Più che introdurre il Body Copy, nella pagina pubblicitaria la Sub-Headline precisa e arricchisce i significati veicolati dall’headline con un enunciato meno striminzito del precedente;
  • Informazioni tecniche – Contiene informazioni che prescindono dal messaggio pubblicitario: informano i lettori della presenza di qualche evento o promozione particolarmente vantaggiosa. Viene collocato in alto a destra per dare meno fastidio possibile all’impaginato;
  • Body Copy -Generalmente scritto con un font più piccolo e con un linguaggio meno sintetico, per body copy si intende il testo vero e proprio della pagina pubblicitaria che snocciola il significato del titolo.  Se ti troverai a scrivere un body copy cartaceo scoprirai la vera libertà di espressione, totalmente svincolata da qualsiasi keyword density;
  • Caption – Eventuali didascalie che spiegano le immagini secondarie della pagina pubblicitaria;
  • Pay Off – Chiamata anche baseline o tagline, questa frase viene utilizzata per chiudere la pagina pubblicitaria e riassumere il senso intero del messaggio;
  • Logo– Dato che si tende a fare molta confusione sull’argomento, cito direttamente Wikipediail logo è la scritta che rappresenta un prodotto, un servizio o un produttore con un uso ben preciso di font, colori e forme. Il logo diventa logotipo quando unisce la parte scritta con un simbolo (il marchio).
  • Indirizzo – Gli indirizzi delle sedi aziendali, solitamente inseriti con caratteri molto piccoli e come ultimi elementi della pagina.
Elementi grafici della pagina pubblicitaria
  • Visual principale – È l’immagine che domina la pagina insieme all’headline. Alcune scuole di pubblicità tendono a mantenere accordo tra questi due elementi, altre giocano con il contrasto, ma bisogna fare sempre attenzione a non trasformare il titolo in semplice didascalia dell’immagine;
  • Visual secondari – Ulteriori foto esplicative, immagini e grafici spesso accompagnate da caption;
  • Il marchio – Si tratta di un simbolo che distingue, attraverso un disegno unico per colori e forme, i tratti una determinata persona o azienda, rendendo il referente immediatamente riconoscibile (pensa al “baffo” della Nike). Come accennato in precedenza, quando marchio e logo si uniscono nasce il logotipo, un elemento grafico-testuale costituito da una parola, da un acronimo o da una semplice lettera (ora pensa al “tondo” della BMW). Anche in questo caso colori e forme sono elementi molto importanti per la riconoscibilità del legittimo proprietario;
  • Splash – Elementi grafici che attirano l’attenzione ed evidenziano una parte della pagina;
  • Pack Shot -Un tipo di immagine secondaria, solitamente inserita in chiusura dell’annuncio, che raffigura il prodotto che si pubblicizza nella sua confezione o un suo particolare dettaglio. Particolarmente utile se nel visual primario e in quelli secondari non viene mai visualizzato l’oggetto che si sta pubblicizzando.


pagina pubblicitaria
Per stilare questa lista di elementi ho preso libero spunto dal testo di Marco Vecchia, Hapù. Manuale di tecnica della comunicazione pubblicitaria, 2003, Edizione Lupetti.

Clemente Moore l'inventore di Babbo Natale per la CocaCola

Haddon Sundblom autoritratto del 1931, Caricato da thecoca-colacompany.com, il creativo che creò Santa Claus.

I fan della Coke dovevano sapere che la loro bevanda era altrettanto buona in inverno come in piena estate. Quale miglior portavoce di un messaggio di questo tipo di Babbo Natale?
Sundblom ha effettivamente preso ispirazione dalla poesia di Clemente Moore. A partire dal 1931, e ogni anno per i prossimi 33 anni, Sundblom creato l'immagine di Santa che prevale oggi.



J. Howard Miller

J. Howard Miller (1918-2004) è stato un artista grafico americano. Dipinse manifesti durante la Seconda Guerra Mondiale a sostegno dello sforzo bellico, tra i quali il famoso "We Can Do It!" manifesto, spesso erroneamente identificato come "Rosie la Rivettatrice".
Miller ha studiato presso l'Art Institute di Pittsburgh, diplomandosi nel 1939. Ha vissuto a Pittsburgh durante la guerra.
Il suo lavoro è venuto a conoscenza della Società Westinghouse (in seguito, il Comitato di Produzione di Coordinamento Guerra Westinghouse), ed è stato assunto per creare una serie di poster.
I manifesti sono stati sponsorizzati da interno War Production Comitato di Coordinamento della società, una delle centinaia di comitati di gestione del lavoro organizzati sotto la supervisione del Consiglio guerra produzione nazionale.
Miller potrebbe aver basato il "We Can Do It!" poster su un United Press International foto (UPI) presa di Geraldine Doyle che lavora in una fabbrica. Al momento del rilascio del manifesto il nome di "Rosie" non è stato associato con l'immagine, che è venuto dopo il 1982, quando il manifesto è stato riscoperto negli US National Archives.


EMANULE PIRELLA, slogan 10 e lode.

Fondatore e presidente dell'agenzia pubblicitaria Lowe Pirella e della "Scuola di Emanuele Pirella", si è laureato a Bologna in Lettere Moderne. La sua vita professionale è equamente ripartita tra l'attività di pubblicitario e quella di autore di satira, in coppia col disegnatore Tullio Pericoli, e di giornalista. Nella pubblicità è autore di celebri campagne, quella per la banana Chiquita il cui slogan "Dieci e lode" è tra i più longevi della pubblicità italiana.
Come direttore creativo dell'agenzia Italia/BBDO, fondata nel 1971 con Michele Göttsche e Gianni Muccini, è autore di alcune delle campagne più note e aggressive degli anni settanta, dai Jeans Jesus al lancio del quotidiano La Repubblica, al tormentone di "Nuovo? No: lavato con Perlana!", a anche se lo slogan è frutto di lavoro di equipe, e secondo la testimonianza (Rai storia del 13 luglio 2013) di Annamaria Testa, tra i suoi migliori collaboratori, Pirella ne avallò lo slogan aggiungendovi "Passaparola".
Nel 1981 fonda, sempre con Michele Göttsche, la Pirella Göttsche (oggi Lowe Pirella), tra le cui numerose e celebri idee pubblicitarie si ricorda il pluricitato tormentone di "O così o Pomì"), il veterinario dell'Amaro Montenegro, quella di utilizzare il proprietario dell'azienda (Giovanni Rana) per pubblicizzare i suoi tortellini, ecc. La sua agenzia ha ricevuto numerosi "Leoni" al Festival di Cannes: di Bronzo nel 1997, d'Oro nel 1998, di Bronzo nel 1999, d'Argento nel 2000, ancora di Bronzo nel 2002. Come autore di satira, in collaborazione con Tullio Pericoli, ha lavorato per Linus, L'espresso, il Corriere della sera e La Repubblica, con la serie "Tutti da Fulvia sabato sera".
Per l'Espresso, ha curato la rubrica di critica televisiva vincendo nel 2000 il Premio Flaiano. È morto il 23 marzo 2010 all'età di 70 anni per una malattia.

MARK LUPUS, entusiasma con il suo stile stravagante.

MARK LUPUS, entusiasma con il suo stile stravagante.
Martis Lupus è uno dei grafic designer più interessanti del panorama attuale. Membro di lunga data di 99designs, il suo stile, molto lineare, è rivolto alla brand image e al packaging per le aziende di tutto il mondo.






Bruno Munari, uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX secolo.

- (Milano, 24 ottobre 1907 – Milano, 30 settembre 1998) è stato un artista e designer italiano.
È stato "uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX secolo", dando contributi fondamentali in diversi campi dell'espressione visiva (pittura, scultura, cinematografia, disegno industriale, grafica) e non visiva (scrittura, poesia, didattica) con una ricerca poliedrica sul tema del movimento, della luce e dello sviluppo della creatività e della fantasia nell'infanzia attraverso il gioco.
Bruno Munari è figura leonardesca tra le più importanti del novecento italiano. Assieme allo spaziale Lucio Fontana, Bruno Munari il perfettissimo domina la scena milanese degli anni cinquanta-sessanta; sono gli anni del boom economico in cui nasce la figura dell’artista operatore-visivo che diventa consulente aziendale e che contribuisce attivamente alla rinascita industriale italiana del dopoguerra.

BOB NOORDA, l'uomo che in rivoluzionò la pubblicità portando per la prima volta in Italia il concetto di Logo.


Dopo Paul Rand, Milton Glaser, Raymond Savignac, Federico Seneca, e Fortunato Depero è la volta di BOB NOORDA, l'uomo che in rivoluzionò la pubblicità portando per la prima volta in Italia il concetto di Logo.
Documentario del 2008 dedicato al celebre designer Bob Noorda e commissionato da Caffè Moak in occasione della presentazione del nuovo logo Moak creato dallo stesso Noorda.
Interviste a importanti personaggi dell'editoria, della cultura e del design milanese amici di Noorda.




Peretz Rosenbaum alias Paul Rand, storie di designer

Peretz Rosenbaum, noto come Paul Rand (New York, 16 agosto 1914 – Norwalk, 26 novembre 1996), è stato un designer statunitense.
È noto soprattutto per aver curato il redesign del logotipo della IBM (1962) e per aver progettato il marchio della Westinghouse (1962).
Conosce il mondo del design in giovane età disegnando insegne per la drogheria del padre e locandine per eventi scolastici. Frequenta la Harren High School di Manhattan e i corsi serali del Pratt Institute di New York. Rand rimane comunque principalmente un autodidatta e si ispira ai lavori di Cassandre e di Moholy-Nagy e a riviste europee come Gebrauchsgraphik. La sua carriera di grafico comincia con lavori tra i più vari, da cataloghi per rivenditori alla piccola pubblicità per giornali e riviste. In qualche anno il suo portfolio si amplia notevolmente ed è largamente influenzato dallo stile pubblicitario tedesco Sachplakat e dai lavori di Gustav Jensen. In questi anni decide di celare il proprio nome, palesemente ebreo, dietro lo pseudonimo di Paul Rand.

Valfrutta la natura di prima Gaf

Valfrutta la Natura di Prima Gaf? O semplicemente tentativo, magari goffo, di ribadire la territorialità dei loro prodotti? 


ASUS COMPANY, Storie di Brand

Facebook mi ricorda che 3 anni esatti fà scrissi una delle mie prime storie di brand su ASUS, forse per la contentezza di aver comprato il notebook con questo brand, strano ma non lo ricordavo. Grazie Mark.
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LA BRAND EVOLUTION DI IBM.

Lo Storytelling è già fuori moda


Il km zero alla milanese da Eat Italy. Il nostro pesce ha fatto 5 metri di strada per arrivare da noi. Per arrivare a Milano?

La Marca che ascolta. La pubblicità deve imparare ad ascoltare ancor prima di parlare.


Pubblicitari, Leopoldo Metlicovitz

Leopoldo Metlicovitz (Trieste, 17 luglio 1868 – Ponte Lambro, 19 ottobre 1944) è stato un pittore, illustratore, scenografo teatrale e pubblicitario italiano, esponente del Liberty.
È considerato, assieme a Leonetto Cappiello, Adolf Hohenstein, Giovanni Maria Mataloni e Marcello Dudovich uno dei padri del moderno cartellonismo italiano.

STORIE DI BRAND - IL SIGNIFICATO DEL LOGO DI AMAZON.


Il logo di Amazon sembra abbastanza semplice a prima vista. Ma cosa rappresenta la freccia? Fondamentalmente, ha due significati. Rappresenta i clienti, che dovrebbero avere un sorriso sui loro volti dopo la grande esperienza con Amazon.
Ma la posizione della linea gialla forma una linea che parte dalla prima “a” e si estende verso la “z”. Questo significa la diversità dei prodotti offerti da Amazon, appunto “dalla a alla z”. Ma si fa anche riferimento alla diversità che contraddistingue la foresta amazzonica stessa. Una curiosità: la freccia è leggermente diversa da quella presente nel logo originale. Questo perché si dice che assomigliasse troppo ad una forma fallica!

STORIE DI BRAND - IL LOGO MC DONALD.

Gli Archi Dorati McDonald’s Sono….Seni Materni!
Si potrebbe pensare che il logo McDonald’s altro non sia che una rappresentazione della prima lettera del nome della società. Sì, tecnicamente lo è: ma c’è di più! Per alcuni, la “M” arrotondata rappresenta inconsciamente il seno di una madre! Nel 1960, McDonald voleva cambiare il logo aziendale. Ma Louis Cheskin, uno psicologo (ma anche un designer!) esortò McDonald a mantenere il logo attuale, sostenendo che gli archi dorati avevano un effetto “freudiano” che faceva immaginare ai clienti che fossero un paio di seni materni e nutrienti, che poi li rendeva più affamati! Alcuni trovano difficile credere a questa associazione, ma una cosa è certa: da oggi, non potrete più guardare il logo McDonald’s allo stesso modo.

I fratelli Richard e Maurice McDonald aprirono il primo McDonald nel 1940 a San Bernardino, in California. Era originariamente un ristorante-barbecue dove venivano serviti anche degli hamburger. Un curiosità: le patatine fritte non erano sul menu! Nel 1948 i due fratelli perfezionarono l’arte del fast food con un processo che chiamarono “Speedee Service System“. Il servizio barbecue fu escluso dal menu per migliorare il tempo di servizio: subito dopo gli stessi McDonald crearono questo logo dove era presente uno chef ammiccante (chiamato Speedee) per aiutare a comunicare il messaggio.

mercoledì 17 febbraio 2016

Best Jobs in the world ritorna e diventa un modello per fare marketing

Chi non ha mai fantasticato “on a dream job”.
Chi, davanti al grigiore della propria scrivania, non ha mai divagato vedendosi come guardiano di un faro in Normandia. Il freddo, il maglione a collo alto, un libro sorseggiando una tazza fumante di tè indiano e intorno la natura.
Beh, svegliamoci, questi lavori non esistono e vogliamo provarlo con questa breve rassegna di annunci e scoop mediatici attorno a offerte di lavoro da sogno.

Anno 2009 – Best Jobs in the world

Ben Southall vince tra 34.684 domande da 200 nazioni. Sei mesi come guardiano della Grande Barriera Corallina. Sei mesi, stipendiati, in un posto da favola non sono il lavoro dei sogni, ma una parentesi, tra l’altro per un unico fortunato vincitore. “During his six months as Island Caretaker, Ben fielded more than 450 media interviews from around the world and posted more than 60 blogs to the campaign website, equating to over 75,000 words; 2,000 photos, 47 video diaries and more than 1,500 tweets”.
Non proprio sei mesi di vacant spensierata, insomma. “The campaign attracted over $510 million in global publicity for Queensland with over 8.6 million visitors to Ben’s website.”
Ecco il ROI dell’operazione. Di marketing.

Anno 2013 – Best Jobs in the world ritorna

Sei incredibili posti di lavoro, con un contratto di sei mesi e una paga di circa 80.000 euro.
“Tourism Australia has taken one of the most successful tourism campaigns in recent and made it bigger by involving most State Tourism Organisations. On offer will be six extraordinary jobs in six extraordinary areas. More than 330,000 people from 196 countries around the world expressed interest in the six dream job with more than 40,000 video entries being uploaded. The six winners officially announced on 21 June 2013”.

Anno 2016, ennesima operazione di marketing made in USA

La rete televisiva FOX13news il 19 gennaio lancia un servizio ad alto effetto mediatico. Il gioco preferito dei bambini di tutto il mondo potrebbe diventare l’occupazione dei sogni per un selezionato gruppo di fortunati. Il lavoro più ambito al mondo. “Merlin Entertainment, Legoland’s parent company, looks to hire an addition 20 model builders”. “This is definitely very much a dream job,” says Max Petrosky, a Legoland model builder. “When you’re a kid you play with Lego, you know? To actually make a living, actually working with Lego, it’s just really incredible.”Notizia subito ripresa e rilanciata dai media job oriented, a cui si sono accodati numerosi piccoli giornali e poi infiniti siti job search, per creare quelle aspettative nei lettori e aspiranti sognatori che sottendono ad una abile politica di marketing, Che fa il paio con la notizia che Lego è diventato il brand più forte del mercato globale. Non a caso.
Lavoro dei sogni offresi, anche la Lego cerca nuovi costruttori.
Sull’onda emotional di un annuncio di questo tipo si entra nel sito Lego e il sogno finisce, in milioni di click per l’azienda in questione e altrettanti dollari per l’agenzia pubblicitaria. Un’offerta di lavoro normalissima, non come il Best Job in the world australiano di anni fa. Assumono sì, ma devi avere il titolo, le referenze giuste e gli anni di pratica dimostrabili.
Un’assunzione normalissima, non le aspettative che il clamore mediatico poteva far sognare.
Tra gli skill necessari per candidarsi come Model Builder a titolo esemplificativo: “Build 2D and 3D LEGO models using brick paper, scaled down prototypes, CAD and LEGO brick builder – Working with animation department to ensure close coordination of the animation within the LEGO model – Understand the brief and budget so that the best models will be delivered”.
Saper usare il CAD, software per la realizzazione computerizzata di modelli 3d, non è materia per tutti i sognatori.
Non va meglio per chi sogna la vita in un faro, almeno in Italia. Quasi tutti automatizzati e sono vent’anni che non viene bandito un concorso pubblico. L’avvicendamento di personale è avvenuto per lo più all’interno dell’amministrazione della Difesa, e quelli abbandonati saranno concessi per bando di gara ai progetti più meritevoli. E da ultimo, dal punto di vista economico, non era la professione più remunerata del mondo. “Fino al 1994 l’assunzione del personale farista avveniva attraverso concorsi pubblici pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica. In seguito si è proceduto unicamente con concorsi interni all’Amministrazione attraverso la riqualificazione di personale civile della Difesa che inoltra apposita domanda per intraprendere la professione del “Guardiano del Faro”. Gli aspiranti coadiutori o operatori nautici devono superare un corso di abilitazione che viene svolto periodicamente, secondo necessità e numero di richieste pervenute, presso l’Ufficio Tecnico dei Fari di La Spezia”.

Cosa emerge dalla lettura degli annunci da sogno

Non esiste il lavoro da sogno ma solo un gruppo di brand, che evocano l’idea di un posto da sogno in cui lavorare, potrebbe essere Disney come Ducati o Ferrari. In parte perché già un marchio con una reputazione consolidata attira le nostre aspettative, e poi perché obbiettivamente queste aziende fanno di tutto per creare immagini di un lavoro da favola.
Il lavoro è lavoro, tutti assumono alle medesime condizioni, titolo, esperienza.
Vediamo alcuni esempi:
1. La Pepsi Cola assume 
“Una volta identificata l’opportunità che vi interessa, vi invitiamo a compilare il vostro profilo online. Dopo la compilazione, un membro del nostro team interno di selezione esaminerà le vostre credenziali rispetto ai requisiti del ruolo per cui avete espresso interesse”.
2. La Coca Cola assume
“Related job requirements/qualifications 5+ years’ experience of senior executive PA – International FMCG or large corporate environment highly regarded – International coordination – Demonstrated ability to provide proactive quality administrative assistance”.
3. La Lucas film assume
“Required  job Skills: 12 to 15 years of development experience in the entertainment industry – BA/BS degree in a related field; Masters degree or equivalent experience is highly desirable – Relevant contacts within film and entertainment industries – Significant travel may be required”.
4. La Disney assume
“Basic job Qualifications – A minimum of 1 year of experience in an administrative support role – Demonstrated experience with Word, Excel, PowerPoint, Outlook and Internet Explorer – Must be able to multi task job in a fast pace environment. Preferred Qualifications A minimum of 1 year of experience in a support role in the entertainment industry or with an agency – Working knowledge of data entry in a file maker pro database. – Preferred Education Bachelors Degree with a Major or Minor in English”.
5. La Ferrari assume
“In order to succeed in this challenging engineering role, we are looking ideally for a graduate with First-class degree in engineering, and gained up to 5 years’ of operational experience in relevant engineering functions – You have good knowledge of CFD calculation (ideally Star-CD) and CAD-modelling software, as well as thorough MS Office skills”.
Chi non sogna di dire lavoro in Ferrari, lavoro alla Disney. Ma la realtà spesso ha poco a che vedere con il nostro immaginario, su quello che identifichiamo come il lavoro dei sogni.
Yahoo ha bruciato quattro miliardi di dollari nell’ultimo anno. Riduzione della forza lavoro del 15%. Tra gli uffici da chiudere c’è anche la sede di Milano. In cifre, si parla di 1700 licenziamenti.
Ma esiste il Best Jobs in the world, oppure è solo una nostra fantasia auto inflitta per colmare le nostre lacune più profonde?

L’opinione di Daniella Iannotta: esiste, quindi, il lavoro dei sogni?

Detto in breve no, non esiste un lavoro dei sogni – ci risponde la filosofa e docente di Etica della Comunicazione dell’Università di Roma TRE – ma attraverso la nostra azione, il nostro lavoro può trasformare la realtà nel sogno di un mondo migliore, dove ciascuno, nel fare bene il suo dovere, contribuisce a disegnare confini nuovi della società in cui viviamo insieme. È quello che Ricoeurchiamava l’orizzonte etico della vita in comune e che stigmatizzava in un breve ma incisivo aforisma: egli diceva che la prospettiva etica è la prospettiva di “una vita buona, con e per altri, all’interno di istituzioni giuste”.
Ora, a me sembra che se parliamo di un lavoro dei sogni, ciò significa tante cose. A mio avviso, innanzitutto, che non vogliamo uscire dalla nostra pigrizia se non per protestare contro le pretese “ingiustizie” della società che, di contro, ci chiede il nostro impegno. Impegno in cui si declina lo spettro delle nostre “capacità”: Ricoeur elenca capacità di parlare, capacità di agire, capacità di riconoscersi autori dell’azione, conseguentemente capacità di imputarsela riconoscendosene responsabili – in breve, capacità di essere nel mondo come agenti e sofferenti.
Ora, questa capacità è l’espressione migliore della nietzschiana “volontà di potenza”, che altro non è che la volontà di accettare l’esser-così della nostra vita – e questo giustifica che Nietzscheparli dell’eterno ritorno dell’uguale. Capisco che il discorso possa sembrare difficile, ma a ben vedere, questo è il senso profondo del nostro esistere accettando che il caso della nostra nascita si trasformi nel destino della nostra vita – e lo dico parafrasando ancora Ricoeur, che utilizza questa espressione a proposito della fede.
Se il “best job of the world” è solo uno schema mentale, perché ce lo creiamo ?
Se il lavoro dei sogni non esiste e se debbo accettare di fare qualcosa che non mi piace, allora posso trasformare questo caso nel mio destino (nello stesso modo in cui si dice a qualcuno che amiamo: “tu sei il destino della mia vita”). Allora, quello che faccio non sarà ciò che non mi piace bensì ciò che mi consente di portare il mio contributo al progresso della vita civile, poiché ciò che faccio non è soltanto per il mio godimento o per il mio benessere economico ma innanzitutto a vantaggio di altri, cui la mia opera è necessaria.
Ricordo il caso di un mio studente che mi disse di non essere dipendente da nessuno poiché era anarchico. Allora io gli posi la domanda: “stamattina lei ha fatto colazione?” Quello, allibito, mi disse di sì. E io incalzai: “allora lei si è svegliato presto questa mattina”. E lui, sempre più allibito, mi disse di no e che questo non c’entrava. Allora io replicai: “non è vero, poiché se lei è assolutamente libero, vuol dire che per fare colazione si è prima recato in campagna a coltivare, a raccogliere, a cucinare…”. E lui: “allora vuol dire che non sono libero”.
Ebbene, no, non vuol dire che non siamo liberi ma che la libertà è un concetto relazionale e la prima espressione di questo è proprio il lavoro. Anzi, se io posso lavorare, ciò è dovuto al lavoro di altri, che fanno cose per me.
Il fatto, però, è che ormai ci siamo abituati a parlare soltanto in termini di diritti e abbiamo dimenticato che quelli sono conseguenti ai nostri doveri. 
Mi è rimasta impressa una ragazza che, all’intervistatore che le chiedeva cosa fosse il lavoro, rispose: è il diritto ad avere una retribuzione per vivere. Già, ma la retribuzione per che cosa? Mi pare che ci troviamo nella situazione di quegli albanesi che, agli inizi delle migrazioni, venivano in Italia perché abbacinati dalla vita tratteggiata nelle soap opere.
Ecco, il nostro immaginario collettivo mi pare dominato oggi dall’effimero delineato dai sottoprodotti dell’immaginazione. In questo caso non possiamo parlare di immaginazione creatrice di mondi nuovi possibili da abitare per noi “con e per altri…” ma di inganno, senza però avere gli strumenti per decodificare.

Sognare il dream job è positivo, a condizione di non inseguirlo. A patto che non diventi un fuggire dai nostri “doveri” nei confronti degli altri intesi come “società” nella quale, volenti o nolenti, siamo coinvolti.
D’altra parte indurci a sognare è il mestiere del marketing.


lunedì 15 febbraio 2016

Il Miglior lavoro al Mondo, quando la pubblicità funziona

Nel 2008 l'ufficio del turismo del Queensland dedie di promuovere le isole della Gran Barriera corallina australiana che soffrono in particolar modo della recessione economica.
Una semplice idea di grande impatto, rilevante, richiama - con un investimento molto basso - l'attenzione del mondo su queste isole tropicali.
Un'idea virale per tutto il web e di sicuro engagement con il pubblicico giovane al quale ci si rivolge.

Viene  annunciata la ricerca di un curatore per l'isola di Hamilton del Queensland.
L'annuncio in relazione al lavoro recita:

 "BEST JOB IN THE WORLD: sei mesi be retribuiti (110.000 US$)"  in un cottage sul mare , più piscina ed iscrizione a un golf club, con l'unico incarico di raccontare lo splendore di uno stile di vita unico in un paradiso. Il curatore deve nuotare, fare snorkelling e amicizie, conoscere il cibo locale, tutto da raccontare al mondo su un blog, con aggiornamenti video continui, interviste e un diario fotografico.

La notizia del reclutamento raccoglie 50 milioni di pagine web viste in 2 mesi, 35.000 candidati;
I sei finalisti partecipano ad un web reality show sull'isola, con prove sportive e di capacità comunicativa; vince un britannico, il signor Southhall, intervistato dai mass media globali.

L'idea del reclutamento raccoglie audience prima (la ricerca), durante (la selezione) e dopo (il lavoro).

Una cerimonia media che coinvolge tutti in una favola moderna (di evasione anti-depressiva) e porta turismo nelle isole del Queensland.




Tratto da: "La Strategia in Pubblicità" di Marco Lombardi.

giovedì 11 febbraio 2016

Gli imperdibili interventi di Guido Sperandio


Guido Sperandio La storia pubblicitaria della Olivetti è particolare, come particolare era del resto, la concezione della stessa azienda, dominata dalla filosofia del mitico Adriano.
Certo, nella sua particolarità di prodotto e aziendale - costituisce un fatto isolato nel panorama della comunicazione del tempo. Epoca in cui stavano affermandosi anche in Italia l'advertising e le agenzie anglosassoni, ambasciatrici e scuole di marketing e comunicazione idonea ad affrontare il mercato di massa.
Da parte italiana per molto tempo la comunicazione è stata affidata all'architetto che progettava il prodotto o alla grafica cosiddetta svizzera, dove i criteri estetizzanti prevalevano sullo scopo della comunicazione che doveva invece essere mirata e su presupposti di marketing.
Prevarrà col tempo, sebbene lentamente, il marketing.


Ottima battuta. 
Anche se realtà poco italiana. Dove la confusione arriva senz'altro al 99,9 %. Quando lavoravo in agenzia mi stupivo di vedere alla fine stampato effettivamente l'annuncio. E circa quel 15 % di commissione... sfido a trovare l'agenzia italiana che li percepisca. Ci sono agenzie che in tempi insospettabili erano arrivate addirittura al baratto.




Guido Sperandio Suppongo che tanta ardita creatività si fondi sul minimo di uno straccio di marketing e mi viene la curiosità di sapere a quale segmento di pubblico intendano rivolgersi.
Femminile, dalle reazioni citate, non sembra.
A meno che... il segmento non sia rappresentato da un pubblico di koala. Emoticon smile
Vuoi vedere che i koala sono tra noi e nessuno, neanche la CIA, se n'è accorto? Emoticon smile




 Ma che cosa ti è capitato mai di leggere? M'incuriorisce! Emoticon smile Curiosità a parte, devo però dire che se il profilo del consumatore coincide con la tappezzeria vivente rappresentata da questo Dio (Fedez derivato di Fede?) e il motto è: "Fuori è magnifico sì ma tu un po' di più" come ho la sventura di leggere nell'immagine... Non so se è meglio di "E i fu, siccome immobile..."
Invecchiamento romanzi: sì, è vero. Tempo fa, mi sono buttato a leggere Melville, e ho desistito. Prosa ineccepibile, se analizzata, ma impatto generale disastroso Emoticon smile



16 gennaio 
Guido Sperandio Condivido la validità creativa del concept, però effettivamente - come nota Saverio Monda, l'occhiata veloce - che è poi quella del pubblico e sempre che quest'occhiata ci sia - mi ha associato l'annuncio al mondo tout court dell'auto, lungi da me pensare a un funeral service. Il tutto è abbastanza ermetico. Forse una rielaborazione più "coraggiosa" (leggi: chiara) gioverebbe.

16 gennaio
La Lettera 22 ha scritto l'ultimo degno capitolo della Grande Letteratura Italiana nonchè del giornalismo (vedi Montanelli & Co).

Guido Sperandio Grazie, Frank Maria de Feo, della spiegazione. Io non ci pensavo minimamente alla contrapposizione regionale e il tuo commento mi ha illuminato.
Io mi limitavo a una battuta dato che si parlava di... piselli. La mia battuta non era senz'altro un granchè brillante e veniva fin troppo facile. Ma parlando seriamente trovo che se gli ortaggi sono coltivati effettivamente in un certo posto piuttosto che in un altro, e il messaggio è garantire una provenienza nazionale e non che so, cinese (la quale esiste, eccome e da anni, per pomodori e mele), ebbene che male c'è?

14 gennaio alle ore 23:59
Con tutto il rispetto per il grande David è una frase molto azzardata. Perchè il co.... potrebbe invece essere proprio il Lui della situazione... marito o altro Emoticon smile 


11 gennaio

11 gennaio
Guido Sperandio Perfetta sintesi... che non sempre il committente tiene a mente. Sintesi per un buon piano media, cui non è meno importante l'affiancare anche una sana copy-strategy. Punti per partire bene, a premessa di quella grande incognita che è la creatività, già, la fata morgana della situazione Emoticon smile

10 Gennaio
Guido Sperandio Seguela viene buon ultimo, i cardini sono Ogilvy e Bernbach, anche se le vere scuole di pubblicità sono state Lintas (house agency di Unilever) e la Procter & Gamble.
Cambiano i media, ma i concetti base restano gli stessi, la natura umana non variando Emoticon smile (non varia dal tempo degli antichi Roamani!)

Troppo buono Emoticon smile Comunque, tutta la Pubblicità italiana è nata in quegli anni Sessanta, per la precisione, se vogliamo, nel corso dei C inquanta. Con Milano, per molto tempo, epicentro. Prima c'era la cosiddetta "propaganda", c'erano i manifesti (affiches) e la reclame. I modelli erano... sulla scia dei Toulouse Lautrec!!!! E la propaganda aveva i suoi ascendenti nel regime, fascista, praticamente unico committente. Tra le eccezioni Boccasile e Dudovich (Boccasile, il manifesto Motta, la confezione incastrata nel seno prorompente di una florida matrona .-) )




Guido Sperandio Ma esistono prodotti "stupidi"?
Se stupidi lo fossero, nessuno ci metterebbe soldi e fatica per produrli e venderli. 
Stupidi lo saranno per certuni, ma non per chi li compra Emoticon smile

Sono d'accordo con te, nel considerare dal PUNTO DI VISTA DEL PUBBLICITARIO. Certo, il pubblicitario che valuti un prodotto più facile da pubblicizzare rispetto ad altri... rischia la buccia di banana Emoticon smile


5 gennaio


da Guido Sperandiorandio: Ringrazio Frank Maria de Feo per avermi citato in Fatti (Scuola) di Pubblicità [https://www.facebook.com/groups/fattidipubblicita/permalink/623447171129566/]..
Non conosco personalmente Frank, ma è evidente che condividiamo il virus di quella cosa aborrita e infame e fasulla che è la Pubblicità.
Nota: Per puntualità di cronaca, la citazione in questione è ripresa dal mio ebook «VITA DA COPYWRITER - Splendori e miserie», reperibile su Amazon e praticamente su tutti gli altri vari store online.